Sembra quasi inverosimile trovarsi dopo più di quattro mesi di nuovo seduti in teatro per ascoltare musica dal vivo, in una Venezia ben lontana dalle popolatissime estati in cui turisti da ogni dove affollavano le calli e le piazzette con chiacchiere e risate. La stessa Fenice, che anche questa volta rinasce dalle ceneri di una emergenza sanitaria che sembra non aver mai fine, cerca di adattarsi alle nuove norme anti contagio per ricominciare ad ospitare musica, pubblico, bellezza dell’arte. Non è semplice: innanzitutto ridurre gli spettatori a massimo duecento, inoltre riprogettare una struttura nata in un certo modo e ribaltarla esattamente all’opposto, con platea sul palco e musicisti/orchestra in sala. E’ una suggestiva nave in costruzione, le cui sezioni trasversali avvolgono le poltronissime degli spettatori, a trovarsi sul palcoscenico in luogo degli interpreti che con l’ orchestra, ben distanziati e praticamente senza scenografia, si trovano al posto della platea che appare così contenuta e surreale. La Fenice vuole mandare un messaggio chiaro: navigare verso il futuro per un teatro che necessariamente cambia e si adatta ai tempi. Un azzardo coraggioso ma anche rischioso.
Se Vivaldi scelse la più tranquilla Vicenza per proporre la sua prima opera vocale nel 1713, la Fenice sceglie oggi quell’Ottone in villa per riaprire al pubblico ed alla lirica dal vivo. Una tipica storia di intrattenimento, fatta di inganni e travestimenti con intrecci amorosi, il cui protagonista Ottone è un imperatore romano poco eroico e molto ingenuo. La sua amante Cleonilla è ispirata al personaggio di Messalina, e come tale è una ingannatrice fin troppo sensibile al fascino maschile. Malintesi veri o presunti portano comunque al lieto fine di uno spettacolo che scorre via piacevolmente nonostante le quasi tre ore di esecuzione.
Sullo spettacolo purtroppo vi è poco da raccontare: il regista Giovanni Di Cicco fa muovere i protagonisti con ciò che oggi offre il teatro: aggirarsi davanti all’orchestra cercando di dare al personaggio quanto di più personale possibile non avendo nulla altro a disposizione che se stessi e la propria voce. Non entusiasmanti i costumi di Carlos Tieppo cui non sapremmo dare una connotazione temporale precisa.
Se dai palchetti si avvertono voci e musica più o meno omogenei a seconda della posizione, ancora più complicato è cogliere l’insieme per chi si trova nella cosiddetta nave, probabilmente perché il suono si amplifica soprattutto in sala, con prevalenza della musica sul canto. Il magnifico effetto sonoro dell’orchestra, che comunque propone un organico contenutissimo, rischia in più momenti di sovrastare le voci che un po’ si disperdono nella sala del teatro.
Dunque sicuramente non facile per i cinque interpreti tornare in scena in una situazione certo non usuale. Il protagonista è un Ottone sulla carta ingenuo poiché innamorato, ma che con Sonia Prina si mostra comunque schietto e risoluto, proponendo una duplicità di carattere che si riflette anche nell’interpretazione vocale non sempre omogenea e che soffre in più punti delle suddette difficoltà acustiche. La sua amante dissoluta è invece la Cleonilla di Giulia Semenzato, che il regista esalta nel suo lato sensuale e provocante, dalla voce squillante che sostiene un ruolo niente affatto scontato e a nostro avviso difficile da mantenere a fuoco. Sul podio più alto l’interpretazione di Lucia Cirillo: il suo Caio ha un timbro rotondo e decisamente sonoro, che sembra si sia adattato al meglio alla ‘nuova’ acustica della sala, brillando per omogeneità e chiarezza espressiva. Valentino Buzza è forse anche troppo per il ruolo di Decio: il confidente di Ottone ha una voce molto importante e solida, che sentiremmo volentieri in ruoli più melodrammatici. Infine bene Michela Antenucci che si giostra nel ruolo di doppia figura con Tullia ed il suo travestimento in Ostilio. Possiamo dire che il meglio dello spettacolo consiste nella sua orchestra: sicuramente situare gli strumenti in platea esalta ogni piccola sfumatura che il maestro Diego Fasolis ha ottenuto con precisione e sensibilità, anche maestro al cembalo in compagnia di Andrea Marchiol.
L’orchestra è arricchita anche dal suono della tiorba di Francesco Tomasi.
Una piccola considerazione finale: il pubblico ha applaudito con convinzione e gioia tanto interpreti quanto il Direttore d’orchestra con la gioia di essere tornati in teatro. Speriamo però che presto le condizioni sanitarie ci riportino ad un teatro in cui sperimentare è certamente lecito e auspicabile, ma la cui ricchezza torni ad essere anche nella sua splendida complessità scenica.
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